Quel che invece è grasso, e lordo, è il modo in cui la testata è stata smantellata con un atto di assassinio mediatico, nel silenzio più assoluto di politica e istituzioni. Alla famiglia Colaiacovo (a proposito: Colaiacovo, Barbetti e Caltagirone per Giornale, Corriere e Messaggero. Carta e cemento è un binomio inscindibile in Umbria) è stato consentito, in maniera del tutto arbitraria, di porre fine ad un’impresa che registrava perdite risibili rispetto alle potenzialità di cui disponeva, a cominciare dal reparto commerciale mai sviluppato e dal sito internet, perfetto nella forma ma mai curato con la dovuta tempestività. Un quotidiano che, ancora nel 2015, godeva di quasi un milione di euro di finanziamenti pubblici annuali, è stato svenduto per appena 50 mila euro – cifra pari al capitale sociale, il che è ridicolo sotto ogni punto di vista – con il preciso, ormai palese incarico di smantellarlo. In pratica, il nuovo proprietario è stato il sicario dei Colaiacovo, che hanno continuato a pagare lo stipendio della redazione fino a dicembre scorso “grazie” ad un accordo pubblicitario civetta, pari all’importo del costo totale della forza lavoro. A gennaio hanno semplicemente staccato la spina, ed ecco che il Giornale dell’Umbria è stato posto in liquidazione. In mezzo c’è stata la farsa della ricapitalizzazione pubblica, con l’invito a potenziali investitori andato deserto, e lo smembramento del quotidiano ridotto a poco più di un “copia e incolla”, con la nascita di una serie di supplementi alcuni dei quali anche interessanti e ben fatti, ma mai decollati poiché mai supportati davvero dalla nuova proprietà.
Proprio ieri (26 gennaio) i dipendenti attendevano il liquidatore che, ironia della sorte, è lo stesso direttore Luigi Camilloni, ufficialmente incaricato del rilancio della testata dai nuovi proprietari. Nessuno si è presentato. Da oggi, dopo uno sciopero iniziato il 9 gennaio scorso, la redazione riprende il lavoro, ma senza alcuna prospettiva.
Adesso i vecchi editori diranno che non ne sapevano niente. Copione già scritto, ovvio e ridicolo. Ma i vecchi editori chi sono, se non i mandanti dell’assassinio? Perché, durante le operazioni di vendita, ad una cordata umbra è stato risposto che la proprietà intendeva trattare solamente con interlocutori di fuori regione? Forse perché il giornale era divenuto un peso, quasi un’onta all’interno di una famiglia spesso divisa sulle decisioni da prendere? Forse perché nessun altro umbro avrebbe dovuto riuscire dove i Colaiacovo avevano miseramente fallito? Forse perché il giocattolo di uno andava distrutto dagli altri familiari? Nessuno conoscerà mai le risposte provate, inutile illudersi. Anche se molti dei dipendenti hanno dato mandato ai rispettivi legali di verificare eventuali responsabilità civili e penali degli ultimi e dei precedenti amministratori e proprietari.
Ma ad ogni modo un’idea di verità, amici editori eugubini che per anni avete percepito milioni di euro statali per il vostro giornale, un’idea di verità ce la siamo fatta tutti. Quel che è certo è il fatto che 27 colleghi sono senza lavoro e, per il momento, senza tfr, dato che di licenziarli ancora non se ne parla, meglio tenerli ancora “a mollo”. Il legale del liquidatore ha comunque annunciato le lettere di licenziamento entro gennaio. Per non parlare poi dei tanti collaboratori, pubblicisti e non, gettati via come carta straccia e che neanche avranno gli ammortizzatori sociali, grazie ad un ordine dei giornalisti nazionale che dei freelance si ricorda soltanto al momento di chiedergli i soldi per il rinnovo della tessera. A proposito, la mia ancora non l’ho rinnovata: ci sto pensando sopra.
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