Lo studio. I territori più ricchi riducono i tributi, mentre i più poveri li aumentano. Nel 2012, ad esempio, a fronte di un reddito di 29.477 euro pro capite, in media ogni cittadino del Veneto ha versato al proprio comune di residenza 532 euro, contro gli oltre 550 di un campano, che però ha un reddito di oltre 13 mila euro più basso. Nello stesso anno, ogni cittadino pugliese ha versato al proprio comune di residenza 3 euro in più, vale a dire 535 euro e 50 centesimi, a fronte di un reddito pari a 17.246 euro e 50 centesimi. Un cittadino campano, con un reddito ancora più basso del pugliese, pari a 16.462 euro e 50 centesimi, ha sborsato oltre 550 euro. In altri termini, pur guadagnando in media 13mila euro in meno di un cittadino veneto, il cittadino campano ha versato nelle casse comunali 18 euro di più. Inoltre, dal 2007 al 2012 l’Ici/Imu al Nord è crollata del 39%, mentre al Sud è scesa soltanto dell’1,1%. Al crescere del Pil, per ogni 1.000 euro pro capite in più, il prelievo nei Comuni del Nord si riduce di 28 euro e 30 centesimi, mentre al Sud aumenta di 15 euro e 50 centesimi. Nello studio viene, inoltre, dimostrato come nel 2012, al crescere del Pil per ogni 1.000 euro pro capite in più, nei Comuni del Nord il prelievo si riduce di 28 euro e 30 centesimi, mentre al Sud aumenta di 15 euro e 50 centesimi. È proprio grazie a una maggiore ricchezza diffusa che, al Nord, si possono abbassare le aliquote e ridurre così la pressione fiscale. Sono i territori più ricchi, quindi, a poter ridurre i tributi.
La pressione fiscale cresce di più al sud. Nel 2007 ogni cittadino settentrionale ha versato in media al Comune di residenza 435 euro, diventati nel 2012 180 in più, dunque 615. Ogni cittadino del Mezzogiorno pagava, invece, al Comune 302 euro e 50 centesimi nel 2007; nel 2012, cinque anni dopo, ha sborsato 537 euro e 80 centesimi, vale a dire 235 euro in più.
Nel periodo 2007-2012 la pressione fiscale locale è cresciuta in entrambe le ripartizioni, ma di più al Sud: al Nord è passata dall’1,36% del 2007 al 2,1% del 2012, con un aumento del 30%, mentre al Sud è volata del 44%, passando da 1,77% a 3,02%. L’andamento della pressione fiscale presenta, però, forti differenze regionali. In assoluto, nel 2012 la pressione fiscale più alta spetta ai Comuni liguri e campani, con un valore pari al 3,3%, seguiti dai pugliesi (3,1%), calabresi (3%), lucani (2,9%), abruzzesi (2,7%).
In Umbria la pressione fiscale è del 2,6%, insieme a Lazio e Molise, mentre Toscana e Piemonte che registrano una pressione fiscale del 2,3%.I Comuni più virtuosi si trovano in Lombardia e Veneto, con una pressione fiscale ferma all’1,8%. A livello di cassa, i Comuni più esosi restano quelli liguri: nel 2007ogni ligure ha versato in media quasi 600 euro annue al proprio Comune di residenza, aumentate a quasi 900 nel 2012, seguiti da Emilia Romagna (481 euro), Lazio (450), Toscana (447) e Piemonte.
Ici/Imu crolla del 39% al nord, contro -1,1% al sud. Le entrate tributarie comunali inoltre si sono essenzialmente concentrate dell’addizionale Irpef, Ici/Imu e Tarsu, la tassa sui rifiuti. Ma nel periodo in questione, il Nord ha saputo differenziare orientando il gettito su fonti diverse: se nel 2007 questi tre tributi coprivano al Nord il 99,7% delle entrate totali e al Sud il 90%, cinque anni dopo, nel 2012, il loro peso è sceso rispettivamente al 72%, mentre al Sud è addirittura aumentato al 91%. Inoltre, nel periodo in questione, nelle due ripartizioni, sia l’Irpef che la Tarsu sono aumentate all’incirca nella stessa misura, mentre al Nord e solo al Nord l’Ici/Imu è crollata. Se ogni cittadino settentrionale nel 2007 ha versato in media 35,6 euro di Irpef al proprio Comune, saliti a 65,4 euro nel 2012 (+83%), e quasi 70 euro di Tarsu, diventati 86,5 euro nel 2012 (+23%), i benefici si sono fatti comunque sentire sul fronte immobiliare: i 343 euro che ogni cittadino del Nord versava in media nelle casse comunali sono scesi cinque anni dopo a 209 (-39%). Al Sud, invece, l’Irpef del 2007, pari a 24,6 euro pro capite, è salita a quasi 45 euro nel 2012, con un aumento dell’82%, i 91,5 euro della Tarsu sono diventati cinque anni dopo 117, con un incremento del 28%, ma i possessori di immobili hanno risparmiato poco: i 159 euro pro capite del 2007 sono diventati 157,3 nel 2012, con una flessione minima dell’1,1%.
Serve perequazione. In base all’articolo 53 della Costituzione, ricorda la Svimez, il sistema tributario è unitario, anche se articolato territorialmente, e si basa sui criteri della capacità contributiva e della progressività. In realtà, si legge nello studio, che in presenza di una spaccatura del Paese, tra un Nord regressivo e un Sud progressivo, a parità di ricchezza, i cittadini meridionali pagano di più ma usufruiscono di servizi ben peggiori non in linea con i tributi versati. In altre parole, in Italia i ricchi non sono tutti uguali: in relazione ai tributi comunali, al Sud pagano di più, al Nord di meno.
Lo studio termina segnalando che tale fenomeno “contribuisce ad accrescere le diseguaglianze del Paese e non aiuta a spezzare il circolo vizioso che da sempre frena lo sviluppo delle aree più povere. Il problema potrebbe essere risolto, si legge nello studio, attraverso trasferimenti perequativi. La forza degli orientamenti politici, in realtà trasversali attraverso i partiti, in un sistema in cui ampiamente e a ogni riguardo prevalgono di abbienti è, tuttavia, tale che i trasferimenti siano considerati un disvalore”.
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