E, d’altronde, come ha affermato Ivano Dionigi – Rettore dell’Alma Mater Studiorum di Bologna dal 2009 al 2015, presidente di AlmaLaurea e della Pontificia Accademia di Latinità, oltre che fondatore del Centro Studi “La permanenza del classico”, con all’attivo pubblicazioni nell’ambito della filologia e della critica testuale, della letteratura classica e contemporanea (ha atteso l’edizione critica del De otio di Seneca, del De rerum natura di Lucrezio, per la Bur-Rizzoli nel 1990; ha curato il saggio Lucrezio. Le parole e le cose, il trattato di grammatica latina Verba et res. Morfosintassi e Lessico del latino, mentre le ricerche più recenti lo vedono impegnato, da un lato, nello studio della fortuna dei classici nella letteratura italiana contemporanea, con traduzioni d’autore, in particolare da Lucrezio, dall’altro nella sintesi fra discipline umanistiche e scienza, nell’alveo di un dialogo denso e sistematico fra classicisti e scienziati moderni e di un originale progetto di didattica interdisciplinare, con il corso, attivo dal 2006, Linguaggi delle scienze e antichità classica, rivolto agli studenti dell’Ateneo bolognese) –, se il latino sta lì a comunicarci che non esiste solo il presente, ancora di più in soccorso può venirci l’etimologia di scuola, dal greco “scholé”, che indica il tempo che il cittadino riservava alla propria formazione, come una sorta di “contrappeso di certa modernità polarizzata sul presente, sull’“hic et nunc””. La scuola, come luogo reale in contrapposizione al mondo immateriale dei media? O come luogo tout-court, in grado di ricordarci che il tempo non inizia con noi, così come non comincia con noi il presente, facendoci abdicare al “pathos della distanza e all’esperienza dell’alterità”? Ecco, è questo l’onere del sapere umanistico: l’onere della domanda, dell’interrogazione. La scuola, infatti, è ancora il Professore Emerito dell’Alma Mater Studiorum a sostenerlo, può coniugare insegnamento e apprendimento della rete, al fine di formare cittadini digitali consapevoli, e non “uccisori” di scrittura e di mediazione culturale. Perché il libro racconta, e il tablet rendiconta. E perché solo in questo modo può innescarsi la formula dell’“et et”, dell’ampliamento, dell’accrescimento, a scapito di quella dell’”aut aut”, della deminutio e della sostituzione. “Non occorre demonizzare la tecnologia – ha recentemente dichiarato Dionigi in un’intervista uscita su Repubblica –. E non è detto che l’automazione crei più disoccupazione: Paesi europei più avanti di noi tecnologicamente hanno meno disoccupazione. Ma non bisogna avere un atteggiamento fideistico nei suoi confronti”.
Saranno questi, i temi-cardine della presentazione dell’ultimo libro di Ivano Dionigi, “Il presente non basta”, che si terrà nell’aula magna di palazzo Gallenga, sede dell’Università per Stranieri di Perugia, martedì 28 febbraio, alle 11, e, alle 17, alla libreria Feltrinelli, in corso Vannucci a Perugia, come trait d’union, con la lectio magistralis “Latino perché, latino per chi”, che lo stesso Dionigi tenne, il 12 aprile dell’anno scorso, sempre alla Stranieri.
“Come mai in un’epoca caratterizzata dalla proliferazione dei mezzi di comunicazione, la reciproca comprensione è più difficile? Come mai ci ostiniamo a credere che il presente si riduca alla novità e che la novità si identifichi con la verità? Come mai le parole di Lucrezio sull’universo, di Cicerone sulla politica, di Seneca sull’uomo colpiscono la mente e curano l’anima più e meglio dei trattati specialistici?”, si legge nella quarta di copertina.
Forse è proprio questa la funzione che la lingua che l’Europa ha parlato per secoli, e che continua a parlare attraverso la politica, i mezzi di comunicazione, la religione e la scienza, è chiamata a svolgere: captare “il primato della parola, la centralità del tempo, la nobiltà della politica”. In un “hic et nunc” che si dilata, che diventa un “Ubique et semper”, attraverso una responsabilizzazione del nostro parlare, ed un’”ecologia linguistica” che fa perno sul binomio tradizione e innovazione. Liberandoci dall’assedio del presente. Divenendo la lingua della “cosa di tutti” o “res publica”. E insegnandoci che il pronome più bello è “noi”.
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