Pinter, Placido e la palingenesi dell’amore
di Martina Pazzi - 20 novembre 2015Incontro con i protagonisti della commedia “Tradimenti”, in scena al Teatro Morlacchi. Il grande regista e sceneggiatore pugliese fa tornare la pièce del drammaturgo inglese, Nobel per la letteratura nel 2005 e amico di Samuel Beckett, a teatro

Perugia. “Si trova sempre qualcosa di ridicolo in una persona che si è smesso di amare”. È la versione, parafrasata, certo, di ciò che Oscar Wilde, il dandy Oscar Wilde, pensava sull’imminente fine di una storia d’amore. Sulla commedia di cui conduce la regia, Tradimenti di Harold Pinter, che stasera bissa al Teatro Morlacchi di Perugia e che sarà in tournée fino a febbraio 2016 in molti teatri italiani (da Roma a Trieste, da Bologna a Lucca), Michele Placido si pronuncia così: “Ecco, sì, forse questo testo si può leggere non solo come la fine di una storia d’amore più o meno grande, ma anche come un totale fallimento di un’utopia rivoluzionaria che voleva migliorare e cambiare il pensiero occidentale”. “E, proprio come nel testo di Pinter – conclude il Corrado Cattani de La piovra – anch’io, che facevo parte di quella generazione, mi ritrovo oggi di nuovo punto e accapo”. Si gioca in casa, con Tradimenti. E non solo perché la commedia è salita sul palco del Morlacchi di Perugia ieri sera, ma anche perché il grande regista e sceneggiatore pugliese fa tornare la pièce del drammaturgo inglese, Nobel per la letteratura nel 2005 e amico di Samuel Beckett, a teatro. Dall’esordio teatrale del 1978 alla trasposizione cinematografica del 1983, diretta da David Hugh Jones, con Jeremy Irons, Ben Kingsley e Patricia Hodge, infatti, il dramma, nato da uno spunto autobiografico, sale di nuovo sul palco, con una Emma, un Robert e un Jerry sarcastici e squisitamente contemporanei. Nei loro panni, tre attori molto amati della scena italiana, Ambra Angiolini, Francesco Biscione e Francesco Scianna, oggi senza costumi di scena in occasione dell’incontro tenutosi al Teatro Morlacchi e moderato dal professor Alessandro Tinterri, docente di Discipline dello spettacolo all’Università degli Studi di Perugia. Tinterri, che ha definito lo spettacolo “coinvolgente e teso, sintetico, penetrante. Un meccanismo ad orologeria. Un gioco di scatole cinesi, conficcate le une dentro le altre, a ritroso nel tempo, dal 1977 al 1968″. Nel tradimento di Emma, moglie di Robert e di Jerry, amico intimo del marito di lei, vengono messi a nudo i meccanismi sottesi alle relazioni interpersonali, al di là di ogni contingenza e dell’apparente banalità di un ménage, che funge da espediente per riflettere sugli ingranaggi ingannevoli della memoria. Di un passato che per Pinter è “terra straniera”. Straniero (da sé) e straniamento (quello provato dallo spettatore nel trovarsi al cospetto della fine di una relazione, anziché del suo inizio): ci sono l’asfissia del matrimonio, l’apparente libertà raggiunta col tradimento, l’impossibilità di comunicare e di fidarsi dell’altro, in tutto questo. “Ci sono tre forti solitudini, di fatto” commenta Biscione. Tre monologanti, di cui il più scaltro, il più sagace, un vero giocatore di scacchi, è proprio Robert, da lui interpretato. Un uomo sospettoso, astuto, a tratti violento, ironico. Di un’ironia, del tutto british, che, d’altronde, precisa Scianna, rappresenta il vero leitmotiv dell’opera, di una scrittura che si fa essenziale, asciutta, di cui la vera ricchezza è il non detto. E tra pensiero ed espressione scritta/detta è la pausa il vero motore di questa partitura musico-testuale. E anche Emma, l’adultera, “risponde in modo asciutto – conclude la Angiolini -, per non svelare ciò che fa. Si prende ciò che vuole. Si prende la libertà di farlo. E, rompendo una serie di schemi, agisce piuttosto che parlare”. Fidandosi solo delle parole. Di poche, parole. Non è un caso se, nell’atto di conferimento del Nobel a Pinter, l’Accademia di Svezia addusse la seguente motivazione: “Nelle sue commedie scopre il baratro che sta sotto le chiacchiere di tutti i giorni”. Dietro l’assurdità, tanto cara all’amico Beckett.