Al Balù, in via Cartolari, a Perugia, mercoledì 30 marzo, si festeggerà l’uscita, imminentissima (del giorno dopo!), di “Sottrazione” (per la casa editrice romana Gorilla Sapiens), l’ultima raccolta di racconti di Carlo Sperduti, scrittore romano, classe 1984, con all’attivo racconti e romanzi editi per i tipi di CaratteriMobili (fra gli altri, “Le cose inutili”), Intermezzi Editore (“Caterina fu gettata”, ad esempio), Gorilla Sapiens Edizioni (“Un tebbirile intanchesimo e altri rattonchi” e, a colpi di penna con Davide Predosin, “Lo Sturangoscia”) e Zero91. Un aperitivo per brindare alle potenzialità letterarie insite nella narrativa breve, a dei racconti, in tutto 34, suddivisi in tre “sottrazioni”, disposti in ordine decrescente, secondo il numero di battute, e corredati di una appendice sui “Re minori in microfiabe”, anche questa, neanche a dirlo, brevissima. Un cocktail, seguito da Dj set by FF, in compagnia dell’autore, che, insieme a Francesca Chiappalone e Matteo Schifanoia, leggerà in anteprima alcuni racconti tratti o “sottratti” dalla sua ultima fatica letteraria: da una surreale “Crepa in affitto”, di 11.793 battute, ad un anti-cruscante “Dizionario dei sinonimi e degli inonimi”, di 4023 battute, passando per un tutt’altro che rassicurante “Nulla di male”, di 5213 battute complessive, e per le ironiche 3.957 battute de “Non cercate il pero nell’uomo”. Spazi inclusi. Ma, assicura il prefatore, Fabio Viola, “è noto che lo Sperduti non scriva più di dodici racconti a settimana, mai più di ventimila battute al giorno”: in questo caso gli spazi sono esclusi e la frammentarietà, cifra stilistica della prosa sperdutiana, si ricompone, dopo essersi scomposta in un matematicissimo, e progressivo, gioco di sottrazioni.
La penna di Sperduti suggerisce, in sostanza, che “scrivere per sottrazione è una moltiplicazione”. Un ammiccamento al “caro lettore di quarta di copertina”, uno spazio deformante e restringente, che “allestisce tranelli, sottrae scalini, nega vie di fuga”: un effetto opening, quello della cover e della quarta, su cui si affastellano una scala, frastagliata, un uomo che la percorre, dei quadri alle pareti, uno specchio, una porta socchiusa. E un uomo, lo stesso, che non vi entra. O che, forse, ne esce. “Una raccolta – dichiara l’autore – di materiale vario degli ultimi due anni e mezzo, eterogenea, che va dal surreale all’umoristico, a prose più drammatiche e non propriamente narrative”, alcune delle quali, come “Danneggia gravemente te e chi ti sta intorno” sono apparse altrove. E tra un “Poi torna a casa e fattene una ragione”, in cui l’inarrestabile corsa contro il tempo pare essersi arrestata, per contro, nei volti della gente (“Come sempre è troppo tardi. Sei già invecchiato nelle facce degli altri”) e “La rete”, confine “che spuntava indistruttibile” nei vicoli, nelle strade, fino a separare l’occhio da ciò che prima non vedeva e che ora, invece, desidera ardentemente in quanto fuori dalla sua portata, c’è tutta l’empiricità di un esercizio letterario che fa della brevità, dell’essenzialità, dell’asciuttezza, una “moltiplicata sottrazione”.
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