sabato, 15 marzo 2025 Ultimo aggiornamento il 4 marzo 2025 alle ore 14:45

Vita da poliziotto di quartiere

Istituito nel 2003 il servizio di polizia di prossimità a Perugia è stato potenziato dopo i fatti di cronaca degli ultimi anni. Barbara e Gabriele pattugliano il centro storico in lungo e in largo, a stretto contatto con commercianti e residenti

 
Perugia. Un assegno di funzione dopo 17 anni di servizio mai visto. Un contratto non rinnovato da sei anni. Attrezzature non sempre funzionanti e pantaloni di qualche taglia più grande fatti stringere dal sarto. Percorrono il centro storico di Perugia in lungo e in largo, conoscono a memoria ogni strada, ogni vicolo. Sono Barbara e Gabriele, due poliziotti di quartiere. Li abbiamo seguiti in un turno di pattugliamento del centro cittadino, in una normale giornata lavorativa.

“Dopo la sparatoria in centro dell’8 maggio 2011 – racconta Barbara, assistente capo – la Questura ha deciso di intensificare la presenza della polizia di prossimità tutta nel centro storico. Giriamo a piedi, facciamo i turni con i carabinieri. Il nostro mestiere è avvicinare i cittadini, farli sentire più sicuri, ascoltarli e parlare con loro”.

Bionda e sorridente Barbara trasmette sicurezza nonostante la sua figura esile. Ama il suo lavoro, ama la sua città nonostante tutte le difficoltà. E’ famosa perché non si lascia mai intimorire, tutti si fermano a salutarla e a scambiare due chiacchiere con lei. Si confidano, anche. “Molte volte è proprio dal rapporto col cittadino che un’azione va a buon fine. Partiamo dai loro racconti per sventare traffici di droga, ripulire una strada o una zona, segnalare casi sospetti agli altri colleghi. Anche noi diamo il nostro contributo”.

In coppia con Gabriele, anche lui assistente capo, percorre ogni giorno tutto il centro storico di Perugia. Dai giardini Carducci fino a Corso Garibaldi, Corso Cavour e le zone limitrofe. Pattugliano anche i vicoli più bui, quelli dove è più facile per uno spacciatore riuscire a nascondersi o a dileguarsi. “La zona di nostra competenza è molto ampia – dice – facciamo quello che si può con i mezzi a nostra disposizione”.

“Il problema è che spesso danno la colpa a noi – racconta Gabriele – se i pusher hanno preso possesso del centro storico. Noi li arrestiamo, anche due o tre volte. Ma spesso ritornano. Ho fatto un sacco di viaggi scortando in macchina tunisini o marocchini col foglio di via, fino a Ponte Galeria a Roma o al centro di accoglienza di Trapani. Da lì scappano e tornano a Perugia. Spesso si ricordano anche di noi, ci raccontano dell’ultima volta che li abbiamo arrestati”.

Sì perché non è sempre facile per il cittadino residente capire le dinamiche che hanno portato un centro storico a svuotarsi. Quali politiche possono aver spinto famiglie e cittadini ad abbandonare il centro per spostarsi in periferia. “Noi siamo i primi a volere che ogni perugino possa sentirsi libero di passeggiare per le strade della  città in tutta tranquillità. Ma quello che accade dopo che abbiamo arrestato un malvivente, non dipende più da noi. Il nostro mestiere lo facciamo e anche con coraggio. E non è bello, poi, vedere che i cittadini o la stampa sono i primi a puntare il dito proprio contro di noi”.

Una ztl inaccessibile, parcheggi troppo costosi, il minimetrò con orari proibitivi ed ecco che è più comodo per tutti andare a cena o al cinema fuori dal centro storico, dove parcheggiare è più semplice oltre che gratis. Quindi le saracinesche dei negozi si abbassano e i residenti in centro sono sempre meno, lasciando spazio a un vuoto che diventa sempre più difficile colmare. Terreno fertile ad alimentare criminalità, spaccio e consumo di droga.

Quello di Gabriele è lo sfogo di chi fa il proprio mestiere con coraggio e passione, ma spesso viene additato tra i responsabili della situazione di degrado in cui versa il centro storico di Perugia. “Di questi tempi, posso solo sentirmi privilegiato se prendo, tutti i mesi, 1300 euro”. Ma lavorare per garantire l’ordine e la sicurezza non ha un prezzo, soprattutto se da tempo il ministero taglia i fondi. “Questi guanti me li sono comprati da solo. Non mi lamento, ci mancherebbe. Chiedo solo un po’ più di rispetto per il nostro lavoro”.

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