sabato, 21 dicembre 2024 Ultimo aggiornamento il 19 dicembre 2024 alle ore 07:22

Alla luce del ‘Canzoniere’ petrarchesco

All'Università per Stranieri di Perugia, l'ultima lezione di Letteratura Italiana per gli studenti del Corso di Laurea 'Primi' e per i dottorandi dello stesso Ateneo, di uno dei massimi esperti di storia della critica petrarchesca, Roberto Fedi

 
Alla luce del ‘Canzoniere’ petrarchesco
Perugia. ‘Un commento si studia, si utilizza e si consulta, ma normalmente non lo si legge. O per lo meno non lo si legge come si farebbe con un saggio per ricavarne tesi e interpretazioni generali, che di solito si preferisce affidare alla continuità del discorso critico: in un commento la puntualità delle osservazioni particolari, l’attenzione sempre focalizzata su passi o sezioni specifiche del testo, rallentano, quando proprio non cancellano, tale continuità (…). I Rerum vulgarium fragmenta sono un caso singolare perché esibiscono fin dal titolo una dispersività programmatica; tuttavia quel vulgaris connota, almeno nel linguaggio petrarchesco, un’unità tonale e tematica, ossia una coerenza stilistica di poesia in lingua toscana dedicata ad un tema amoroso, come voleva la lirica romanza di quei secoli. Un commento che aspiri a mantenere la continuità di un discorso critico leggibile come un saggio, e offrire nello stesso tempo i dati di un’esposizione puntuale dei testi, si prefigge un compito arduo in quanto sfida la difficoltà di tenere costantemente il suo discorso su un doppio binario, rischiando ad ogni passo di perdere la coordinazione fra i due percorsi’.

Un commento, quello alla canzone 126 – Chiare, fresche e dolci acque – del Canzoniere di Petrarca, che accetta la sfida suddetta e che, per dirla ancora con Paolo Cherchi, autore della prefazione dell’edizione dei Rerum Vulgarium Fragmenta della collana bianca di Einaudi, a cura di Sabrina Stroppa, ‘ne esce vittorioso, conquistando un posto distinto nel novero dei commenti al Canzoniere apparsi in questi ultimi due decenni, e a loro volta chiaramente innovativi rispetto alla tradizione pregressa’. Perché un commento, oltre che essere studiato, utilizzato e consultato, può essere anche ascoltato. Specie se colui che lo rende esplicito è uno dei massimi esperti di storia della critica petrarchesca, nel panorama letterario italiano e non solo.

In occasione della sua ultima lezione di Letteratura Italiana, tenuta per gli studenti del Corso di Laurea ‘Primi’ (Promozione dell’Italia e del Made in Italy) dell’Università per Stranieri di Perugia e per i dottorandi dello stesso Ateneo – Dottorato di Ricerca Innovativo ed Internazionale in Scienze letterarie, librarie, linguistiche e della comunicazione internazionale coordinato dalla professoressa Giovanna Zaganelli –, il professor Roberto Fedi, direttore del Dipartimento di Scienze Umane e Sociali e ordinario di Letteratura Italiana presso l’Università per Stranieri di Perugia – ha insegnato Letteratura Italiana come Visiting Professor presso le più prestigiose Università del mondo, dall’Università della California, Los Angeles (UCLA) all’Università di Toronto, in Canada; i suoi studi, di impostazione critica e filologica, rivolti alla ricerca stilistica sul testo, si sono incentrati prevalentemente sulla storia della critica petrarchesca, sul Canzoniere e sulla sua fortuna editoriale, spaziando in saggi critici sulle altre ‘due Corone’, Dante e Boccaccio, oltre che in molti lavori sulla lirica del Cinquecento e del Rinascimento italiani. In collaborazione con Lanfranco Caretti, ha pubblicato un’antologia di testi commentati dalle Origini al Cinquecento – Antichi e moderni, Milano, Mursia, 1984, vol. I –. È condirettore della rivista ‘Filologia e Critica’ di Roma, e vicedirettore della Bibliografia Generale della Lingua e della Letteratura Italiana – BIGLI – ed è stato critico letterario del supplemento culturale del quotidiano ‘Il Sole24Ore’ di Milano – ha identificato alcuni, robusti filoni tematici nella già citata canzone 126 del Canzoniere: una lettura, questa, o, per meglio dire, una rilettura sostenuta da numerose osservazioni originali, in grado di incrementare il bagaglio di conoscenze sulla biblioteca petrarchesca. Una canzone, questa, di cinque stanze, di 13 settenari ed endecasillabi, incentrata, come si legge nell’apparato esplicativo delle note della sopraddetta edizione di Einaudi, su ‘un giorno fatale per la historia petrarchesca dopo il 6 aprile, ed egualmente benedetto (…): quello della visione disvelata di madonna. Visione ‘in terra’, e come tale saldamente legata al tempo (…). I luoghi che vi si trovano dipinti – le acque della Sorgue, le erbe e i fiori toccati dalla veste di Laura, l’aere sacro e sereno che la circonfonde di un lume divino si sono rappresi in immagini che devono la loro nitida purezza alla lente del tempo che le ha rese percepibili e le ha messe a fuoco’. La natura, il principale interlocutore del poeta laureato: che si tratti di un paesaggio-stato d’animo ante-litteram? E poi la Provenza, dove Petrarca visse a lungo, e i luoghi che accolsero in passato la presenza di Laura. Laura che, col fianco – sineddoche del corpo – si immerse nelle fresche acque della Sorgue, e nel tessuto poetico di stanze ‘di tipo fantastico, onirico’, di scene irripetibili, magiche, e, per questo, forse mai avvenute. Il professor Fedi ha poi focalizzato la sua attenzione su di una questione esegetica: l’angelico ‘seno’ di Laura è un latinismo – deriva da ‘Sinus’, letteralmente ‘pezzo di stoffa ripiegato’ – ed è riconducibile allo spettro semantico della ‘gonna leggiadra’ con cui la donna amata dal poeta, la sua figura angelicata, avrebbe ricoperto l’erba e i fiori. La gonna di Laura è come quella che veste gli angeli: la stessa donna è paragonata ad un angelo. In questo idillio, che registra l’apparizione di madonna – rivelazione, questa, che si concreta sempre in luoghi pastorali, e che conduce all’oblio, alla dimenticanza del sé, all’estraniamento –, compaiono due elementi tematici ricorrenti: la morte, come ospite indesiderato, e inserzione del destino, ed il porto, solitamente immagine metaforica del luogo ove ci si riposerà, ove non v’è pericolo. È qui che, per trovare ristoro e pace, attracca ‘la nave’ del corpo umano, con le vele rotte, spezzate, senza più albero-maestro. In realtà – su questo si sofferma l’esegesi del professor Fedi –, anche nel porto v’è la ‘fortuna’, come vox media che sta per ‘tempesta’ – non a caso ‘il fortunale’ è una tempesta marina che spazza via tutto –. E, d’altronde, si ha una parodia inversa, dal faceto al serio, quando si afferma che il momento esatto in cui si vede Laura – ossimorica fera bella e mansueta, se ‘bello’ è uno degli aggettivi più usati e vaghi del Petrarca – è ‘benedetto’, mentre Cecco Angiolieri sputava sentenze su di un ‘giorno maledetto’, quello dell’incontro con la donna (amata?). Fatta eccezione per la visita alla tomba di Petrarca, quando piangerà e proverà pietà per il poeta, Laura, ‘dolce’ – altro aggettivo petrarchesco indistinto –, sorride: è suo ‘il riso’, il sorriso, mai beffardo, mentre cadono fiori dal cielo. Non è un caso, se Botticelli traspose su tela quest’immagine mutuata dalla letteratura, tratteggiando il profilo di una Venere-Laura. Sorridente, e umile.

 

 

 

 

 

 

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