‘L’Accademia fuori dall’Accademia’, dunque: un’idea, questa, che era stata elaborata dal pittore bresciano, attivo a Roma, Girolamo Muziano – non è un caso che il seicentesco Ritratto di Girolamo Muziano, attribuito a Giuseppe Ghezzi, sia stato collocato ad apertura della mostra –, che ha convertito negli anni Settanta del Cinquecento l’eredità delle Università nella prima accademia romana del disegno, dapprima nella chiesa di San Luca e poi al Foro Romano, sino alla fondazione dell’istituzione da parte di Federico Zuccari nel 1593. Il curatore, Vittorio Sgarbi, nel saggio da lui redatto per il catalogo della mostra, editato da Fabrizio Fabbri, ha affermato «Mi sono chiamato – a curare una mostra per portare fuori dai depositi cento capolavori dell’Accademia di San Luca (n.d.r.) –, agitando l’idea presso gli amici del Forte di Bard in Valle d’Aosta, consigliere Gabriele Accornero, di far conoscere l’imponente collezione in una antologia ricca e sorprendente, fuori di Roma, e con una puntuale e rinnovata catalogazione (…). Le nobili sale dei palazzi Lippi Alessandri e Baldeschi a Perugia accolgono ora, in ordinata sequenza, alcune pitture e sculture, tanto notevoli quanto poco viste, della gloriosa Accademia di San Luca che, a Roma, ne espone con stabile selezione in luminose sale espositive insufficienti a contenere il numero esorbitante di opere conservate nei depositi. Doni di investitura, di Principi e di Accademici, come Pietro da Cortona (che riproduce i Baccanali di Tiziano, e progetta la chiesa di San Luca e Martina di cui resta la maquette lignea), Maratti, Angelika Kauffmann, Canova e Thorvaldsen. E anche notevoli lasciti di Accademici, perché gli allievi imparino. Con provenienza da collezioni illustri come quella dei Barberini e del Barone Lazzaroni con rare problematiche tavole (…)».
Il percorso espositivo, in dodici sale, prende avvio, a palazzo Baldeschi, con il ‘Modello architettonico della chiesa dei Santi Luca e Martina’ al Foro Romano, realizzato in gesso e legno su scala 1:50. Seguono altre sale, fra cui quella dei Quattro Elementi, con il Ritratto di Girolamo Muziano di Giuseppe Ghezzi, che rende omaggio al fondatore dell’Accademia nel 1577, e il Putto reggifestone, rara testimonianza della pittura a fresco di Raffaello, che presenta punte di affinità con quello che affianca il Profesta Isaia dipinto dal maestro urbinate negli anni Dieci del Cinquecento nella chiesa romana di Sant’Agostino. Due opere del Bronzino, fra le altre, campeggiano nella Sala della Sapienza: il Sant’Andrea e il San Bartolomeo, eseguite per la pala d’altare della chiesa Madonna delle Grazie a Pisa e rimossa negli anni Ottanta del XVI secolo e vendute nel 1821 all’Accademia di San Luca dal pittore neoclassico Vincenzo Camuccini. Restituisce una eco dei Baccanali di Tiziano, il Bacco ed Arianna di Pietro da Cortona esposto nella Sala della Verità, mentre, nella Sala delle Muse, Le ninfe che incoronano la dea dell’abbondanza, opera di Peter Paul Rubens del 1622, raffigurano delle donne che incoronano una terza compagna, al centro, connotata da una cornucopia. Negli ultimi tre spazi espositivi di palazzo Baldeschi, la Sala di Diana ed Endimione, la Sala dell’Architettura e il Salone degli Stemmi, una selezione di opere dell’arte seicentesca romana e napoletana e non solo, e dei capolavori dell’arte neoclassica: da Loth e le figlie dell’austriaco Daniel Seiter, dalla luce quasi caravaggesca, alla planimetrica del progetto di sistemazione di piazza del Popolo, che reca la firma di Giuseppe Valadier, al Giaele uccide Sisara di Carlo Maratti, caposcuola a Roma della pittura di impostazione classicistica.
A Palazzo Lippi Alessandri, protagonisti i secoli XIX e XX: la seconda parte del percorso espositivo si apre con il Ritratto di Giuseppe Valadier eseguito da Jean-Baptiste Wicar, in una ‘tela da imperatore’. Lo sguardo del visitatore, poi, catalizza la sua attenzione, ad esempio, sull’Ulisse alla corte di Alcinoo di Francesco Hayez, sull’autoritratto Primi e ultimi pensieri di Giacomo Balla, in cui l’artista futurista accosta il proprio volto con quello di un autoritratto della figlia Elica, e sul ritratto di Bianca, la già citata figlia di Amedeo Bocchi, immortalata, alla stregua del Balla, in una dimensione domestica.
Nonostante tale intimità, tutt’altro che ‘rassicurante’ quando si tratta di capolavori di raro pregio come questi, l’arte resta, come sosteneva Leo Longanesi, «un incidente dal quale non si esce mai illesi».
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