giovedì, 21 novembre 2024 Ultimo aggiornamento il 19 novembre 2024 alle ore 14:04

The Babadook, ovvero come dire molto utilizzando il genere horror

Opera-evento da vedere e rivedere, dimostrazione pratica di come si possa ancora inviare messaggi importati dall'interno di un genere più che abusato

 
The Babadook, ovvero come dire molto utilizzando il genere horror
Riuscire a dire qualcosa di nuovo all’interno di un genere che ha davvero detto tutto era ad oggi ardua impresa, ma ecco che la regista australiana Jennifer Kent ti esordisce nel 2014 con quel Babadook che proprio in questi giorni sta imperversando nelle sale italiane – Dio benedica Koch Media – e sta suscitando le lodi unanimi della critica, lodi che si aggiungono a quelle di un pubblico numeroso e strabiliato dalla inconfutabile qualità della pellicola. La Kent sa in effetti il fatto suo, cita con leggiadria Murnau, Polanski e Whale ma ciò non le impedisce di scrivere e mettere in scena una storia tutta sua, un racconto microcosmico dall’impatto estetico eccezionale e che per una volta riesce a fare paura in modo intelligente, senza tuttavia mai esagerare.

Non si può dire che Babadook sia poi un film di genere, dato che in corso d’opera lo spettatore avrà modo di scoprire che la celebre figura dell’Uomo Nero, che assume qui il nome di Babadook, non è dopotutto che un pretesto narrativo per raccontare le conseguenze di un dramma mortale avvenuto nel cuore di un comune nucleo familiare.

Amelia (Essie Davis al suo primo ruolo da protagonista in un’interpretazione da Oscar), giovane vedova ed ex scrittrice, conduce un’esistenza triste e solitaria, alienata dall’intera comunità insieme al suo bambino Samuel, che mostra costantemente disagi psichici e crede di essere minacciato da mostri invisibili. Ma quando Amelia trova in casa un misterioso ed inquietante libro per bambini dove protagonista tra le pagine è un altrettanto ambiguo demone persecutore, Samuel si ritroverà ad affrontare i suoi peggiori incubi insieme ad una madre sempre più frustrata, sempre meno amorevole, e decisamente più malvagia e pericolosa.

Chi ha scritto questo libro, come si trovava in casa e soprattutto se Babadook esista davvero sono domande che attanaglieranno il pubblico fino alla fine, dato che la regia del film è talmente curata nei dettagli d’intreccio e nelle scelte visive da permettere ben più di un’interpretazione a ciò che accade, aprendo un crocevia di scelte cognitive in grado di intrigare anche il cinefilo più navigato. Madre e figlio vivono una vita grigia senza mai accorgersi del mondo che c’è fuori dalla loro casa-prigione, dall’inizio alla fine essi rimangono protagonisti assoluti, la loro evoluzione psicologica avviene in maniera tortuosa ed altalenante, in un lungo percorso di formazione al fine di riscoprire quell’amore in grado di domare i demoni che giungono dal passato a tormentarci non appena abbassiamo la guardia.

La claustrofobica ambientazione all’interno di cupe e bigie stanze consente alla Kent di portare avanti una ricerca degli spazi dal sapore splendidamente kubrickiano, l’insana inquietudine delle vicende viene inoltre accentuata dalla fotografia desaturata e suggestiva, e da musiche angoscianti al punto giusto.
Ma se tecnicamente il film ha tutte le carte in regola, se esso sfiora il capolavoro è per essere stato capace di sfruttare il genere horror per caricare (e non sovraccaricare) il film di profondità e anche di dolcezza, di tensione ma anche di allegorie e simboli che specialmente nel finale lasciano ben pochi dubbi su chi sia davvero Babadook, pur lasciando carta bianca sulle sue origini. Il fatto che il film sia stato concepito e partorito da una mente femminile influisce non poco sull’approccio narrativo e sugli scavi introspettiVi che mettono a nudo il personaggio di Amelia, donna sconvolta dalla morte del marito, fragile e incapace di dare vero amore al piccolo Samuel, un animo fragile che si sente perseguitato dalla crudeltà cinica e indolente di questo mondo, e che sarà pronto persino ad arrendersi a Babadook pur di esorcizzare le proprie insoddisfazioni e liberarsi violentemente dal senso di colpa per aver indirettamente causato la morte del marito. Sarà proprio Samuel l’eroe che cercherà di proteggere Amelia da quello sfuggente Uomo Nero giunto dall’ombra a rilanciare tragedie, in una lotta impari per ritrovare equilibrio e far pace con la realtà.

Da momenti di vero e proprio espressionismo d’altri tempi a scene estremamente commoventi, il film non annoia mai e non cessa di stupire per merito di continue ed originali invenzioni, per la mancanza ed al tempo stesso forsennata tensione all’amore che pervade ogni singolo momento, per il fatto che per smuovere emozioni non ci si limita ad utilizzare inutili effettacci e bastardissimi jump scare, ma si sceglie la via della paura progressiva e latente, tutta basata sull’empatia che fin da subito il pubblico instaurerà con i due personaggi principali, prendendosi a cuore la loro sorte.

Babadook è un film cinereo e sensazionale, un caso cinematografico più unico che raro, un’opera-evento destinata a diventare un punto di riferimento per dimostrare a scettici e diffidenti che tramite un genere di facciata si possono dire e rappresentare davvero molte cose. Perla assoluta da vedere e rivedere.

VOTO: 9

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